Se il curato di campagna di Bernanos poteva dire “Tutto è grazia”, io sono felice di dire “tutto è segno”.
Nei miei viaggi, nei libri che leggo, negli incontri, sono oggetto di un assedio di segni, che di solito ho la fortuna di decifrare; e mi confermano nelle cose in cui credo.
Può essere il viso di un ragazzo, rapito dalla morte duemila anni fa, la cui statua illumina un museo di Costantinopoli o, in quella stessa città, l'incanto di Santa Sofia; o il corso paterno del Nilo, o il profilo misterioso del faraone poeta innamorato del Disco, o i muti giganti di Abu Simbel nel chiarore lunare, o il dio coccodrillo che nel museo di Louxor si coccola come un cagnone affettuoso un Tutmosis bambino.
O i pleniluni che a Delfi, un dio benevolo, di cui non sono ministro, non mi ha mai fatto mancare; o quello inaspettato che ha glorificato una messa notturna nelle rovine di Claros, o un canto di fanciulli in un vespro di Cambridge.
Possono essere gli occhi di Rembrandt, una sventatezza di Papageno, un cielo dell'Angelico, un'aria di Handel o la concisione latina di Tommaso, o una sera con gli amici come solo Pindaro può raccontarla.
Sono le innumerevoli epifanie della Bellezza e del Bene, nel Partenone o in una piccola chiesa, ai piedi di una piramide o sulla spiaggia di Rio, nel colore di un fiore, nel sorriso di un bambino o nel bacio della mia mamma che muore.
E i grandi Segni che dal Libro di Dio e dallo scrigno della mia Chiesa quotidianamente si accendono allo stupore del cuore e lo confermano al riconoscimento e alla pace.
Tutti, gli umani e i celesti, gli inaspettati e gli attesi, messaggi e doni dell'unica Grazia.