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Ti seguirò dovunque andrai

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Riflessioni

Descrizione

Me lo immagino giovane, questo scriba di cui racconta Matteo al capitolo 8 del suo Vangelo, ancora ignaro di sottigliezze accademiche e di raggiri curiali. Se non lo era, lo era ancora il suo cuore.

Affascinato comunque da quel maestro così diverso dai docenti del Tempio, da quel girovago senza fissa dimora che col Suo sguardo faceva nuove tutte le cose; e apriva i cuori agli ardimenti di inaudite avventure, invitando gli uomini alla libertà delle volpi e degli uccelli del cielo.

Un uomo ascoltando il quale la vita diventava più simile al vento che ad una fatica, e le umane tribolazioni si addolcivano nel sollievo di una carezza, nel tocco di un invisibile guaritore.

Era la fascinazione che toccava con dita di fuoco i cuori di tanti che Lo incontravano, pescatori e dottori, gabellieri e soldati, amici e madri dolenti, peccatori e donne perdute, vecchi saggi e mendicanti, fino a quell'ultimo che se Lo sarebbe trovato vicino, compagno di morte, inchiodato a una croce, e se ne sarebbe innamorato “in articulo mortis”, affidandosi a quel re scoronato in un impeto di folle speranza che gli avrebbe meritato di entrare nel Regno prima ancora che cadesse la notte.

Era l'incanto che incoraggiava i bambini a buttarGlisi addosso, riconoscendoLo amico e compagno con l'infallibile intuizione dell'innocenza.

Quanto ci capita di invidiarli, costoro che L'avevano visto coi loro occhi e avevano guardato nei Suoi il sorriso della misericordia!

Quanto vorremmo anche noi trovarci fra quelle folle sfinite, fra quei greggi di “pecore senza pastore”, per scoprire quelle inaudite beatitudini, per sfamarci con i suoi pesci e il suo pane; o invitati con Lui a quella festa nuziale, per assaggiare quel vino delle Sue vigne segrete!

O sulla barca dei Suoi amici terrorizzati per vederLo comandare ai venti e al mare!

Noi che possiamo incrociarLo solo sui sentieri notturni della Fede, inventandoceLo tutti i giorni, tutti i giorni decidendo di amarLo, fatica e gloria del nostro soggiorno nel tempo delle ombre.

Noi che Gli chiediamo il dono e rivendichiamo il diritto di vederLo anche noi coi nostri occhi, rimosso il velo.

TI SEGUIRO' DOVUNQUE ANDRAI Gli dice lo scriba di Luca.

È lo slancio di un cuore giovane, che poteva battere anche nel petto di un vecchio, per quella intatta giovinezza che si rinnova “come la giovinezza dell'aquila” nei cuori che Lo ospitano, letificante e sempre pronta al volo.

Una prontezza anche un po' sconsiderata quella del nostro scriba, che non sa di quanti dolori è insanguinato il sentiero di quell'uomo, ed ha la perdonabile sventatezza degli innamoramenti.

Da quell'entusiasmo Gesù, che conosce il cuore dell'uomo, sembra persino metterlo in guardia, perché non si metta in testa, come faranno gli apostoli, di accodarsi a una corte regale, dietro uno che è più povero delle volpi e degli uccelli, senza una tana e senza un nido.

E anche all'altro che a sentire Matteo era lì vicino e Gli si offre anche lui come compagno di strada, parla con una durezza che lo avrà sconcertato e sconcerta anche noi, non concedendogli la dilazione onorevole di seppellire “prima” suo padre.

Ma è proprio il “prima” che Gesù non accetta mai, pretendendo il Subito e il Tutto; e respingendo anche uno che ama “ più” di Lui suo padre e sua madre.

Perché Lui non ci incanta come gli imbonitori del mondo, non ci lusinga come i ciarlatani ai quali prestiamo tanto ascolto: Lui ci offre con mani ferme un tesoro che con mani ferme e coraggio dobbiamo accogliere, se è vero che il Suo Regno “ se lo prendono i violenti” e nell'Apocalisse grida dal Suo trono “guai ai codardi”.

Il che Lo scredita come maestro presso le nostre scuole di accomodamenti e di simulazioni, ma lo qualifica per quello che è : Qualcuno di serio e che ama sul serio; e che dell'amore conosce la donazione “ usque ad mortem”, le tenerezze e i perdoni, ma che conosce le intransigenze della gelosia “che è dura come l'inferno e ha vampate di fuoco e di lampi”.

TI SEGUIRÒ DOVUNQUE ANDRAI.

Quante volte Glielo ho detto, io più compagno di pubblicani che di scribi, e quante volte ancora Glielo dico, visto che il primo amore ormai lontano ha ancora sussulti nuovi ogni volta che guardo i Suoi occhi, nella miopia del mio cuore.

E quante volte Glielo dirò ancora, avventato come lo scriba, sapendo che Lo deluderò, rimandando il decollo, con tutti i morti che non mi decido di seppellire.

Quando quegli occhi li vedrò, passata la porta, ancora non avrò altro da dirGli.

E chi sa che tanta sfacciataggine non Lo commuova, Lui così buono coi peccatori da sembrarne perfino complice; e non mi prenda con Sé, in qualche tana di volpe o nel Suo nido.

Renato Laffranchi - info@renatolaffranchi.it