“Non mi cercheresti se non mi avessi trovato” ha detto a qualcuno il Signore, ed è vero.
Dai re d'Egitto che guardavano il cielo per decifrarvi uno sguardo alla ricerca dei molti nomi per nominare l'Innominabile; dalle caute investigazioni dei filosofi “ inquisitori del mondo”, come Paolo li chiama; alla fatica quotidiana dei dubbiosi; dai silenzi severi degli asceti alle folgorazioni degli sciamani o alle infallibili intuizioni dei poeti, tutti abbiamo cercato e cerchiamo un tesoro che sappiamo nascosto nell'isola, l'incantatore di cui ci incanta nei silenzi la musica, il fiore segreto di cui avvertiamo il profumo.
È vero anche per me.
Se mi pare di averlo trovato, quel Volto, è perché Lui mi ha guardato quando ancora ero cieco, e con i Suoi occhi ha aperto i miei occhi.
Se una luce mi illumina il mondo, è perché io “vedo nella Sua luce la luce”.
Se continuo a cercare avendolo trovato, è per la sete che aumenta quanto più mi disseta, per la fame che cresce se mi nutro di Lui.
Sono cose che ha detto; e chi si fida sperimenta che sono vere.
Così guardo il Suo viso, cerco di decifrare nella Sua fronte la Sapienza, nei Suoi occhi la luce, sulle Sue labbra il perdono.
Fino a quando Lo vedrò, come il mio San Tommaso mi ha insegnato a domandarGli, con i miei occhi liberati dal velo.
Intanto cerco di dipingerLo, con più venerazione che arte; e cerco di raccontarLo come posso; come me Lo raccontano “quelli che sono stati con Lui dal principio”, dei quali mi fido, con la fiducia di un bambino.
Ne racconto le tenerezze e le ire, le stanchezze e i prodigi, il pianto e il morire, l'ironia sorridente di cui pare nessuno si accorga, quando gioca con i Suoi amici “duri di testa” e confusi.
E raccontandoLo racconto il mio Dio, racconto Adamo restaurato nella Somiglianza, e racconto me stesso come vorrei essere, non come sono.
Non è un caso che Dante, ammesso alla visione ineffabile, debba accorgersi che quel Volto è uno specchio del suo.