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Le sette parole

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Riflessioni

Descrizione

Commento alle parole di Gesù in croce

Sono uscito dalla città che uccide i profeti e sono salito oltre le mura verso quella roccia che ha la forma e il nome di teschio. Una immemorabile tradizione assicurava che sotto quel masso riposassero le ossa di Adamo; e al di sopra moriva inchiodato l’Adamo Nuovo rifiutato espulso e maledetto. Ho ascoltato, nel vento inquieto, tra il silenzio piangente di chi lo amava e l’abbaiare nefando di un odio che una croce non placava, le sette parole, invisibili e fiammeggianti rubini di una corona che mani tremanti di angeli sollevavano a illuminare di gloria l’abbiezione del sommo delitto.



1 PADRE PERDONALI PERCHÉ NON SANNO QUELLO CHE FANNO



Quando lascia le eburnee sedi celesti per farsi uomo


nel seno di quella fanciulla, si sente così umano,


così partecipe e solidale con gli uomini da addossarsi


come un complice pentito i loro peccati, avvocato


di quei suoi nuovi immeritevoli fratelli, giustificandoli al tribunale del Padre come fossero più confusi che cattivi,


Lui che sa da quali pozzi del Male salgono ai loro cuori


le infezioni che li corrompono, i veleni che uccidono.


Di quella banda di colpevoli che siamo noi si impone


al Padre come unico imputato, Lui innocente si fa colpevole


di tutti i nostri delitti, li inchioda nella Sua carne alla croce,


e patendo la nostra condanna, pagando Lui il debito


si conquista il diritto all’universale perdono.


Quando vuole persuadere il Giudice che i suoi difesi sono ignari del Male rischia di dire, Lui che non mente mai, una bugia, come gli avvocati che difendono a pagamento colpevoli indifendibili.


Ma quel che è inaudito è che non lo fa dalla inattaccabile pace della Sua gloria, riscattato dalla mortalità e dai suoi mali, ”sempre vivo e intercedente per noi”, con quelle santissime piaghe esibite al Padre come documenti di filiale obbedienza, ma da quella croce a cui l’abbiamo inchiodato, quando la speranza di gloria è oscurata dall’Orrore come una vana illusione, mentre ci accaniamo contro di Lui


come asini vili sul Leone che muore.


Ma forse è vero che siamo più da compiangere che da


condannare; che non sappiamo, anche quando crediamo


di saperlo e magari ce ne vantiamo, che voltando le spalle


a Lui le voltiamo a noi stessi, che vendendo Lui sui mercati del mondo svendiamo noi stessi, cedendo per qualche piatto di lenticchie malcotte la nostra corona di figli di re.


 


2 OGGI SARAI CON ME IN PARADISO


Tra lo sconcio abbaiare di chi lo voleva morto, tra gli insulti e quelle misere provocazioni una voce si leva e nessuno si aspettava che si levasse proprio da uno che era in croce con lui, certo un poco di buono se si era meritato la condanna al patibolo. Ma le sue parole danno il via a quella che è una delle più sconvolgenti parole del Vangelo, se lo pensiamo con attenzione. È un delinquente, ma come può accadere più di frequente tra i peccatori che non tra i giusti “che non hanno bisogno di penitenze”, non ha perduto un fondo di consapevolezza morale, e quella capacità di indignazione che la maggior parte degli uomini ha perduta, anche quando ruoli civili o ecclesiali la renderebbero obbligatoria. Se la prende con il compagno di delitti e di pena che si associa agli insulti e semplicemente dice la verità. “Noi ce la siamo meritata la nostra condanna ma Lui non ha fatto niente di male. Senza saperlo, ha fatto quello che Gesù esige da coloro che si dicono suoi: che gli diano testimonianza davanti agli uomini”, condizione perché lui li presenti come “suoi” al Padre. È la testimonianza che risuona su quel colle dal quale gli apostoli sono fuggiti. Gli viene da un bandito inchiodato, e quella testimonianza rende possibile un incontro. Non sappiamo come e non ci incuriosisce saperlo, ma quell’uomo trasvola in un attimo quello che noi chiamiamo “un cammino di fede” e dice qualcosa di inaudito e di folle. In quello straccio d’uomo intuisce un Re e gli domanda di fargli un posto nel suo regno scavalcando catechismi, prassi e rimandi curiali. E la risposta è immediata. Oggi sarai con me in Paradiso.


Come faceva nella sua vita mortale, pur con le ali inchiodate, si avventa come un’aquila sul peccatore che lo cerca per portarselo in Paradiso. 

Nell’iconografia bizantina c’è un’immagine che conoscono in pochi, è quella di un corteo maestoso che sale con Gesù verso la Gloria. In alto c’è il Paradiso, un piccolo giardino bianco di luce nel quale vediamo intronizzati tra i fiori Abramo, Isacco e Giacobbe.


Dove arriverà il corteo c’è una porticina che è tenuta aperta da un omino con uno straccetto sui fianchi con una croce in mano. È il buon ladrone.


Una lezione di umiltà su cui dovremmo meditare, perché quella porta non ci sia chiusa in faccia.



3 DONNA, ECCO TUO FIGLIO


La sua chiesa l’ha appoggiata su Pietro, roccia non poi così solida, affidandola alle iniziative dello spirito, ma la sua mamma l’affida a Giovanni, che la terrà come “sua”.



Non è un affidamento istituzionale, ma il dono estremo del cuore.


Ha dato tutto, ma cede all’amico quella fanciulla nel cui utero intatto aveva aggiunto alla sua natura divina la nostra umana e mortale. Cede quel seno che lo aveva allattato, soave come le mammelle di Dio, quella madre che condivideva il mistero, a volte senza capirlo, che negli anni difficili trepidava per lui.


Che soffriva quando inaspettate parole di lui sembravano posporla a qualche ascoltatore provvisorio. Ma adesso era lì, per morire con lui di quella mortalità alla quale lei lo aveva generato. E lì, con l’unico amico che non era fuggito. L’affida a lui, e in lui a noi, ci insegna la Chiesa, perché non restiamo orfani anche quando ci dimentichiamo del Padre.


 


4 DIO MIO PERCHÉ MI HAI ABBANDONATO


Le aveva imparate da bambino le venerande parole dei salmi che confortano nel difficile cammino l’uomo tribolato, spaventato e confuso. Conosceva quelle promesse, le garanzie di una sollecitudine affettuosa, ininterrotta ed energica. Sapeva che Dio aveva comandato ai suoi angeli di controllare con attenzione i suoi passi, perché nemmeno un sassolino li facesse inciampare. Sapeva che sopra di lui invisibili ali lo proteggevano dalle ustioni del sole e dai malefici della luna. Sotto quelle ali aveva osato tutto, camminando indenne su scorpioni e serpenti. Di quella benevolenza si era fidato insegnando agli altri di fidarsene.


Ma è stato rimosso il baldacchino rassicurante delle ali, nessun angelo lo accompagna e lo aiuta. Solo Luca ci dice di un angelo che forse per sua iniziativa è sceso a consolarlo un po’ nel frantoio dove è pestato come un grappolo d’uva non dai piedi danzanti di ragazzotti festosi ma dalle zampe della Bestia.


Quante volte ho sentito nella mia vita da malati senza speranze o da vecchi sfiniti quelle stesse parole, subito rimproverati perché certe cose non si dicono. E ogni volta ho ricordato che quelle cose le aveva dette Gesù, che incarnandosi non aveva indossato una parvenza di uomo, ma aveva condiviso la sostanza della nostra natura, con le nostre debolezze e le nostre paure.



5 HO SETE


È ridotto lui stesso a una sete che una spugna di aceto non può calmare. È quella folle sete di amori umani che induce il Figlio consostanziale ed eternamente amato a farsi uomo, mendicando amori terreni. Di quelli ha sete: del latte della sua mamma, degli occhi nuovi dei ciechi che ha guarito, delle folle di disperati che lo invocano, dei peccatori che chiedono perdoni, delle coccole dei bambini, della tenerezza del prediletto, della fede inaspettata di stranieri incirconcisi, dei baci delle donne perdute che lo hanno capito e lo amano, consolandolo del gelo dei giusti.


E so che ha sete di me, che tante volte gli ho fatto bere fiele e aceto.

 


6 SI È COMPIUTO TUTTO


È giunto al termine di quella avventura nella quale si era incamminato buttandosi a capofitto dalle eburnee sedi celesti nella terra dove regna la morte. Si compie l’evento il cui pensiero faceva tremare il suo cuore e lo spaventava. Il vangelo ci offre una testimonianza di questo turbamento. Dopo il suo ingresso regale nella città dice “e adesso la mia anima è inquieta. Che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma è per quest’ora che sono venuto. Padre glorifica il tuo nome!” 

Nell’agonia sanguinosa dei Getzemani aveva domandato urlando e piangendo che gli fosse risparmiata la morte.


Ma “proprio per questo era venuto, facendosi uomo, per addossarsi i peccati degli uomini e la condanna di Adamo, per portare, non come un servo distratto, ma come un figlio innamorato, l’assenza del Padre. Il fondo è toccato. Né una mano, né una luce, né una voce lo consolano più.



7 PADRE NELLE TUE MANI AFFIDO LA MIA VITA


È già la vittoria, che si consumerà di lì a poco, quando la mano del padre gli afferrerà la destra strappandolo dalla morte. È l’eroico ardimento, è l’audacia imprevedibile e forse non così ragionevole di un figlio che si reinventa una paternità perduta. È un puro ed eroico atto di fede. “Autore della fede l’ha chiamato qualcuno. Perché la fede è questo nella sua meravigliosa sostanza: tuffarsi in una piscina nella quale non vedo se c’è acqua, gonfiare le vele verso un porto che nessuna mappa mi documenta che esista. Proprio l’opposto di quel “crederò quando vedrò” che è la più stupida delle affermazioni con cui crediamo di rendere omaggio alla ragione. E Gesù quelle mani le trova. Trova, al di là della notte, della disperazione, quel sorriso e quel cuore, quell’amplesso ineffabile nel quale si perdeva nelle notti di solitaria preghiera di cui ci parla il Vangelo. E si accorge di essere, con il padre “una cosa sola”. So che a quell’abbraccio sono atteso anche io, e chiedo solo, tremante di paura, di potergli andare dietro, al mio Gesù, fin sotto al suo baldacchino di Gloria.

Renato Laffranchi - info@renatolaffranchi.it